L’avvento del nazismo è ancora una ferita aperta per l’umanità Ancora oggi se ne studiano nascita e sviluppo, e ci si interroga sul perché Hitler odiava gli ebrei. Qui si cercano le fondamenta dell’odio razziale.
Le origini dell’odio verso il popolo ebreo le racconta Hitler stesso, nella versione integrale del suo Mein Kampf (La mia battaglia). Egli vedeva negli ebrei l’estraneità dal popolo tedesco; non li considerava suoi concittadini, ma rappresentanti di un gruppo diverso. La volontà del dittatore di creare una razza superiore, capace di dominio sulle altre, lo portava a voler eliminare dalla definizione di ‘popolo’ chiunque per lui ne fosse lontano.
Ma perché proprio gli ebrei? Secondo Hitler, avevano il potere sulla stampa e sui luoghi di cultura, quindi potevano influenzare l’opinione pubblica. Li considerava anche capaci di condizionare il partito Socialdemocratico, attraverso il controllo dei sindacati.
Con queste premesse, Hitler aveva individuato i propri nemici. Anzi, i nemici del popolo tedesco intero. Nell’identificazione di un avversario comune, aveva riunito i tedeschi per arrivare all’eliminazione di quella che veniva individuata come la causa di quasi tutti i problemi. Era la presenza di questi “estranei” nei luoghi di potere che metteva il freno alla crescita e all’espansione della Germania.
Trovare un antagonista è uno dei modi più semplici per creare coesione in un gruppo a scapito di un altro; il singolo può sentirsi appartenente a un progetto condiviso per un “bene superiore” di cui però beneficeranno solo alcuni a scapito di altri. Una situazione che ha sempre conseguenze negative per tutti.
La banalità del male secondo Hannah Arendt
“La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” è un libro del 1963 ancora attualissimo. Hannah Arendt, filosofa e scrittrice, aveva seguito per il New York Times il processo a carico di Eichmann. Questi era uno dei funzionari del regime nazista, responsabile del trasporto di migliaia di ebrei verso i campi di concentramento.
L’autrice è arrivata a una conclusione inaspettata: l’uomo può compiere azioni di malvagità inaudita senza essere responsabile ed avere coscienza delle proprie cattive intenzioni. Quello che emergeva dalla vicenda di Eichmann era il suo distacco dalla natura disumana delle sue azioni e dalle conseguenze che queste avevano.
Il funzionario era sprovvisto della capacità di mettersi nei panni degli altri. Eseguiva gli ordini che gli venivano imposti, in modo superficiale e quasi automatico. Arendt descrisse Eichmann come mediocre e ordinario. L’uomo conduceva un’esistenza quasi banale. Banalità che applicava anche alle sue azioni, nonostante queste fossero causa di immenso male.